Ricordo quell’esame! Quello che mi ha fatto impazzire, quello che ho dovuto ridare due volte!
Ho annegato il mio dispiacere in un noto barattolo di vetro, che mi ha tenuto compagnia mentre asciugavo le mie lacrime.
A chi non è capitato?
Ancora oggi quando sento il profumo della torta di crema cotta e amarene mi torna in mente mia nonna e i preziosi momenti in cui elargiva a me e mia sorella i suoi saggi consigli.
Questi sono solo alcuni esempi di comfort food, ma di cosa si tratta? E perché il cibo è così legato alle nostre emozioni e alla nostra memoria?
Cos’è il comfort food?
Il comfort food è il cibo dell’anima.
Quel cibo che diventa consolazione, rifugio, fuga, compensazione, amico, madre, padre e amante!
L’essere umano in certe situazioni può sentire il bisogno di questi cibi per consolarsi, per riempire un vuoto o semplicemente per stare bene e sentirsi profondamente appagato.
Quasi fosse una impellente necessità di ricollegarsi visceralmente a quell’antica sensazione di avvinghiarsi al seno materno!
Chiamale se vuoi emozioni…
Il cibo è un profondo attivatore di identità ed ha un ruolo essenziale nella costruzione e nella rappresentazione del Sé.
I piatti che amiamo raccontano prima di tutto le esperienze che abbiamo vissuto, le emozioni che proviamo e abbiamo provato, spesso subcoscienti, il nesso è radicato nel nostro inconscio e non sappiamo bene perché un determinato cibo ci piaccia e un altro ci disgusti.
Se chiediamo a qualcuno quali cibi preferisca e perché ci risponderà che “mi fanno stare bene”, “sono buoni”, “mi consolano”, “mi rendono felice”.
Se poi gli chiediamo quali ricordi associ a quei piatti, ecco aprirsi un varco in un mondo che si popolerà di ricordi, personaggi, emozioni e relazioni.
Si materializzeranno nella mente cene di famiglia, visite ai nonni, pic-nic con gli amici, scene di accudimento, avventure amicali ed esperienze sentimentali.
Il ricordo è il ponte che permette di riscoprire che la condivisione sociale è il fattore che rende il cibo un conforto.


È solo questione di chimica?
La scienza da anni cerca la chiave della relazione esistente tra cibo ed emozioni e ha dimostrato che determinati squilibri nutrizionali possono incidere negativamente sull’umore, causando tristezza e depressione.
Certi alimenti favoriscono il rilascio di endorfine, dopamina e serotonina, come le noci e il cioccolato fondente, che contribuiscono a ridurre lo stress e migliorare l’umore; ma nel caso del comfort food, alla capacità di influire sull’umore grazie al rilascio di neurotrasmettitori naturali si aggiunge il valore emotivo del piatto, legato a esperienze significative di un periodo della propria vita o di un evento in particolare.
Questa combinazione di aspetti emotivi e fisiologici, fa sì che sotto la definizione di comfort food rientri una grandissima varietà di alimenti.
Non esiste un cibo ideale nel comfort food, ognuno ha il suo di riferimento con ricette che spaziano dalla cultura gastronomica popolare, alla cucina raffinata di chefs stellati, fino al junk food delle multinazionali.
Riflettendo…
A questo punto nasce spontanea una riflessione: è un bene usare più o meno consapevolmente il cibo come coperta di Linus? È davvero efficace riempire un vuoto emotivo con dei bignè? È risolutivo riprodurre la sensazione di un’epoca felice appartenente al passato attraverso i suoi sapori?
È vero che il cibo è anche un piacere ma è giusto delegare ad esso il potere di farci stare bene?
Che fare?
Benché il comfort food possa essere una coccola piacevole ed innocua è chiaro che lo spartiacque lo fa la misura in cui deleghiamo al cibo questo potere.
Qualora il comfort food diventi food cravings, consolazione e rifugio indispensabile per vivere, esistono percorsi che aiutano a prendere consapevolezza di queste dinamiche e nel riconoscerle aiutano a smettere di delegare al cibo il potere di farci stare bene.
In particolare la psicoterapia cognitivo-comportamentale o quella sistemico-relazionale che consiste nella terapia familiare, perché spesso questo fenomeno si inserisce all’interno di dinamiche familiari complesse.
Non sarebbe più appagante trovare in sé stessi quella consolazione, la sostanza di cui riempirsi, il coraggio di creare un presente appagante?
Abbiamo tutte le risorse che ci servono, certo costa una certa dose di fatica e dolore e serve anche imparare a starci in quello smarrimento, in quel vuoto, senza trovare a tutti costi la “toppa” del momento, che sarebbe solo una soluzione temporanea, un lenire il sintomo ma che non risolverebbe la causa profonda di quel bisogno.
La letteratura insegna…
Simonetta Agnello Hornby in un’intervista ricordava come il gusto sia l’ultimo senso ad abbandonare le persone più anziane, mentre la vista, l’olfatto e l’udito perdono gradualmente funzionalità con il passare del tempo.
Il gusto ci riconnette con le nostre esperienze passate, ci connette alla nostra esistenza, alle nostre origini.
E’ questo il motivo per cui spesso le persone più anziane faticano a cambiare le proprie abitudini alimentari anche di fronte a patologie croniche importanti.
Rinunciare al gusto è in parte rinunciare alla propria storia.
A Proust bastò intingere un biscotto al burro nel tè per far tornare alla mente piacevoli ricordi d’infanzia. Quel dolcetto francese a forma di conchiglia, la madeleine, è forse il più noto esempio di comfort food della letteratura:
“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione (e proprio ora), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità… retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più…ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio.”
Fonti
https://guna.com/it/prodotti/fiori-di-bach/
https://www.cure-naturali.it/articoli/alimentazione/nutrizione/cibo-emozioni.html
https://www.cure-naturali.it/articoli/alimentazione/diete/mood-food-cibo-umore-e-salute.html
https://circololettori.it/2016/11/28/marcel-proust-madeleine/
Credit photo: Jonathan Borba