Una cosa è certa e credo che chi è madre lo sappia: nella prima parte della vita del bambino esiste per vicinanza, per la necessità di dipendere totalmente, una vera e propria simbiosi psicologica tra madre e bambino.
A mano a mano che il bambino cresce e socializza questa simbiosi è meno evidente e il bambino ha sue proprie reazioni ad eventuali malesseri della madre. Queste reazioni sono dettate dal carattere, dall’ambiente in cui vive e anche dal concetto che il bambino si è fatto dello stato di malessere.
Ma affermare che i bimbi stanno bene se la madre sta bene equivale a ribadire di nuovo l’onnipresenza e onnipotenza della madre sul bambino che fa logicamente molto comodo a molti che tutto sommato spesso non vogliono essere coinvolti in questa responsabilità.
Delegare tutto alla madre implica di non sentirsi responsabile di nessun errore di valutazione e di nessun problema che possa insorgere nelle diverse fasi educative del bimbo e solo chi non fa niente non sbaglia mai.
Ma cosa vuol dire stare bene?
Se guardiamo i modelli che pubblicità e mass media ci propongono della donna-madre felicità vuol dire fare tutto sempre meravigliosamente senza cadute di tono o errori, sia dal punto di vista professionale che da quello della cura della propria persona dal punto di vista femminile.
Questi modelli non concedono pause.
E se invece a volte stare bene implicasse la capacità di dire qualche “no” in più, togliersi la maschera ed essere finalmente umana, consapevole dei propri limiti e di quelli degli altri?
Se stare bene dovesse implicare anche qualche momento di depressione, inteso come momenti di pausa con se stesse, che male ci sarebbe?
Chi dice che farebbe male ai nostri figli avere una madre capace di riconoscere i propri bisogni, i propri limiti e capace di fermarsi con se stessa quando è necessario?
Non sempre nella relazione esclusiva tra madre e figlio risiede il benessere del bambino e la sua buona crescita. Il modello proposto della “madre brutta e cattiva” perchè va a lavorare e che di conseguenza deve sentirsi in colpa perchè la vera relazione è quella in cui la madre si occupa perennemente del bambino non è sempre ottimale.
Infatti nella relazione esclusiva se c’è una vivacità di relazione tra mamma e bambino la crescita emotiva armonica è assicurata. Là invece dove c’è poca reattività nella mamma o nel bambino viene bloccata la crescita stessa del bambino.
Per il piccolo infatti è importante già in una fase precoce potersi relazionare con altri bambini, entrare in quella che dal punto di vista sociale è la comunità come può essere quella dei nidi, quella degli asili ed entrare in relazione e avere un suo contesto relazionale senza per forza dover vivere in esclusiva la mamma.
Quindi la buona crescita spesso sta anche nel fatto che la relazione della mamma con il bimbo contempli e venga allargata ad altri partecipanti, altre figure che possono essere i bambini del nido, le insegnanti ecc.
Le relazioni esclusive spesso impoveriscono perchè la mamma si dedica totalmente e potrebbe non avere nessun altro tipo di interlocutore. Se ad un certo punto la madre deve per forza prendersi cura di se stessa sgancia il piccolo da questa dipendenza e gli permette di crescere.
La dipendenza madre-bambino nelle primissime fasi della vita è assolutamente indispensabile, ma dopo queste primissime fasi dei primi mesi si deve allargare quindi il fatto che la mamma lavori potrebbe essere positivo per la crescita del bambino purchè ovviamente la qualità del rapporto col figlio quando torna dal lavoro sia buona.
Se la madre deve pensare a se stessa ecco nascere i sensi di colpa… e anche se pediatri e psicologo tentano di toglierli è ben difficile che ci riescano perché le emozioni e l’inconscio sono ben lontani dall’essere domati razionalmente.
A questo punto le strategie che si possono adottare sono tre
Troncare di netto con il lavoro e i propri impegni. Questo accade abbastanza spesso, ma non è una strategia vincente. Infatti troppo spesso accade che anche smettendo di lavorare i sensi di colpa della madre non spariscono perché il lavoro,origine dei sensi di colpa, viene sostituito da altro che non va nei riguardi dei figli e che è opportuno mettere a posto.
La seconda strategia è la più diffusa e consiste nel barcamenarsi tra i diversi ruoli. Nascono così le soluzioni part time, i lavori in casa.
La terza ed ultima strategia consiste nel negare assolutamente la presenza di sensi di colpa, che poi però riaffiorano in svariati modi , dall’acquisto sconsiderato di giocattoli e vestiti, ad altre stranezze mai sane.
In sintesi ricordiamoci sempre che l’importante è la qualità del tempo che dedichiamo ai nostri figli e non la quantità.