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Tecnologia e ambiente

Particelle magnetiche nel tessuto cerebrale: una ricerca

Particelle magnetiche nel tessuto cerebrale: una ricerca

In un laboratorio immerso nella foresta in Germania, libero dall’inquinamento, un gruppo di scienziati sta studiando il cervello umano e in particolare la funzione delle particelle magnetiche in esso contenute.

Particelle magnetiche e tessuti cerebrali

La posizione isolata del laboratorio, a 80 chilometri da Monaco di Baviera, ha offerto ai ricercatori l’opportunità di esaminare un bizzarro capriccio del cervello: la presenza di particelle magnetiche in profondità all’interno dei tessuti cerebrali.

Una presenza già nota negli anni ‘90, di cui tuttavia non si sapeva il perché.

Alcuni esperti pensavano che queste particelle servissero a scopi biologici, mentre altri ricercatori hanno suggerito negli anni che i magneti provenivano dall’inquinamento ambientale. Ora, gli scienziati tedeschi hanno prove a supporto della spiegazione biologica.

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Una questione di biologia

In un nuovo, piccolo studio pubblicato su Scientific Report, i ricercatori hanno scoperto che alcune parti del cervello sono più magnetiche di altre. Cioè, queste aree contengono più particelle magnetiche.

Inoltre, la distribuzione stessa di queste particelle magnetiche è molto simile tra i vari cervelli analizzati, suggerendo che le particelle non sono il risultato dell’assorbimento ambientale, ma piuttosto servono alcune funzioni biologiche.

Questo perché le particelle non sono state trovate specificamente a concentrazioni più alte vicino al bulbo olfattivo, che è quello che succederebbe se le particelle fossero assorbite dall’ambiente.

Quali sono le aree più popolate

In particolare, sarebbero il tronco cerebrale e il cervelletto, che si trovano nella parte posteriore del cervello, ad avere un magnetismo maggiore.

Probabilmente hanno un ruolo nell’aiutare i segnali elettrici a spostarsi dalla spina dorsale verso l’alto e nel cervello, ha detto Gilder a Live Science. Tuttavia, ha sottolineato che le conclusioni rimangono completamente aperte all’interpretazione.

Nuove strategie di ricerca per il futuro

Joseph Kirschvink, professore di geobiologia al Caltech, che non faceva parte dello studio, ha affermato che la nuova ricerca è “un progresso molto importante, in quanto esclude le fonti ovvie di contaminazione esterna” dall’inquinamento. La contaminazione è sempre possibile, “ma non sarebbe la stessa in più individui“.

Che sia questo l’inizio di una nuova via per comprendere il cervello e i processi cognitivi? Come rispondere a coloro che ritengono che Wi-Fi e onde elettromagnetiche interferiscono con il cervello? Rimaniamo connessi per capire se questa nuova scoperta aprirà a nuove strategie di ricerca.
Fonte:
https://www.nature.com/articles/s41598-018-29766-z

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