Nell’ambiente dei runner è conosciuto come Abebe Bikila, l’atleta etiope specializzato nella maratona, che nel 1960, correndo a piedi nudi, vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma e si ripetè a Tokio l’edizione successiva.
E’ lui il simbolo del correre a piedi nudi o “Barefoot Running”. Oggi il Barefoot Running è inteso come correre con scarpe “minimaliste”
Per la postura è un vantaggio
Dal punto di vista della postura, alcuni studiosi sottolineano come con l’appoggio dell’avampiede, si riduca il peso di carico a terra, così come l’ampiezza della falcata, aumentando la velocità nella corsa. Ciò comporta movimenti meno accentuati sull’articolazione del ginocchio, con una maggiore attivazione della flessione plantare, migliorando la stabilità e la coordinazione dei gesti tecnici. Questo tipo di appoggio produce uno spiccato equilibrio del baricentro, rendendo la corsa meno dispendiosa dal punto di vista energetico. Diminuiscono così gli infortuni, secondo questa teoria, grazie alla riduzione degli impatti e ad una migliore gestione posturale.
Pericolo traumi
Nel barefoot running il rischio di traumi senz’altro superiore a quello relativo alla corsa effettuata con normali scarpe da running. Il piede è soggetto a traumi occasionali anche nella parte non a contatto con il suolo: un ramo, un ostacolo, la caduta di un qualunque peso
Gli studiosi sembrano converegere sul fatto che il Barefoot Running possa essere una buona forma di corsa solo per corridori predisposti o sufficientemente preparati, mentre per tutti gli altri, senza le dovute cautele e allenamenti, può essere, al contrario, dannoso.