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Il tuo cervello invecchia più lentamente se parli due lingue

Il tuo cervello invecchia più lentamente se parli due lingue

 

E se contro l’invecchiamento del cervello il medico prescrivesse lezioni di lingua? Sembra uno scenario possibile secondo Thomas Bak, del Centre for Cognitive Ageing and Cognitive Epidemiology dell’Università di Edimburgo, in Scozia.

Il ricercatore spiega in un recente articolo pubblicato su Nature  come il padroneggiare almeno un linguaggio diverso da quello nativo possa proteggerci contro lo sviluppo della demenza senile.

La demenza senile: come combatterla

Ad oggi, non esistono terapie farmacologiche che combattano efficacemente questo fenomeno. Gli studiosi stanno quindi rivolgendo la loro attenzione verso altri interventi che potrebbero, se non eliminare del tutto, almeno rallentare quello che sembra un processo inarrestabile di declino delle cellule cerebrali, che naturalmente si associa all’invecchiamento di tutto l’organismo. In quest’ottica, sono diversi i cambiamenti nello stile di vita che potrebbero avere un effetto positivo. Dall’aumento dell’esercizio fisico, a una dieta equilibrata, fino ad arrivare allo svolgimento di attività che possano stimolare e tenere in azione il nostro sistema cerebrale. Tra le caratteristiche considerate positive per il rallentamento delle funzioni cerebrali, la più studiata è il bilinguismo, ovvero la capacità di utilizzare a un livello fluente due lingue. Da alcuni studi, emerge come i bilingui vadano incontro a demenza più tardi di circa cinque anni rispetto a chi padroneggia una sola lingua, e hanno una probabilità due volte superiore di recuperare le funzioni cerebrali dopo un ictus.

Una possibile spiegazione è che il costante muoversi da un idioma all’altro, saltando quindi tra diversi suoni, parole e aspetti sociali a essi strettamente legati, tenga in allenamento le cosiddette funzioni esecutive, coinvolte nella gestione dei principali processi cognitivi.

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Il bilinguismo: una sorta di pillola contro la demenza

Bak propone di considerare l’apprendimento delle lingue alla stregua di una terapia farmacologica, una sorta di “pillola contro la demenza”.  Ne valuta aspetti positivi e negativi, proprio come se si trattasse della somministrazione di un farmaco, analizzando sia l’azione del principio attivo, sia gli eventuali effetti collaterali. Se ormai appartengono al mito quelle ipotesi per cui chi parla più di una lingua è soggetto a schizofrenia, identità multiple o confusione mentale, è però confermato il fatto che queste persone impiegano leggermente più tempo a individuare la parola corretta per nominare un oggetto o descrivere un’immagine.  Si tratta però di una differenza osservabile nell’ambiente controllato di un laboratorio di ricerca, ma irrilevante dal punto di vista clinico e nella vita quotidiana.

Per quanto riguarda l’efficacia sulla salute a livello cerebrale, molti ritengono che sia di difficile valutazione e che debbano essere prese in esame anche altre variabili, come il livello di istruzione e l’immigrazione, ovvero il fatto che una persona decida di trasferirsi in un altro Paese per vivere o lavorare. Nonostante questi dubbi, una cosa rimane chiara: l’esercizio costante di una lingua straniera ha un effetto positivo sulle capacità cognitive, proporzionale alla quantità di tempo dedicato a questa attività. In particolare, gli studiosi suggeriscono che bastano cinque ore a settimana per aiutare il nostro cervello a mantenersi giovane più a lungo. La stessa quantità di tempo raccomandata per l’esercizio fisico.

In altre parole, studiare le lingue è una ginnastica per la mente, che non solo fa bene, ma aiuta a migliorare le connessioni sociali, è economica e più divertente di molte altre terapie farmacologiche.

 

Dott.ssa Martina Laccisaglia
Centro Studi Comunicazione sul Farmaco, Salute e Società – Università Statale di Milano

Per approfondimenti:

Thomas Bak, et al. Language lessons to help protect against dementia. BMJ – 19 Sep 16

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