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Tecnologia e ambiente

Meditazione: cosa succede al nostro cervello?

Meditazione: cosa succede al nostro cervello?

Una nuova ricerca ha scoperto un gruppo di neuroni che potrebbero spiegare fisiologicamente la connessione tra la respirazione profonda, praticata durante la meditazione, e i suoi effetti calmanti sulla nostra mente.

Per secoli, gli uomini hanno usato la respirazione profonda per calmare la propria mente.
Le evidenze scientifiche hanno sostenuto il fatto che il nostro respiro può condizionare una sensazione di tranquillità, anche se nessuno ha ancora stabilito esattamente come questo succeda.

Oggi, i ricercatori credono di avere finalmente trovato una risposta, identificando un piccolo gruppo di neuroni nel tronco encefalico dei topi responsabile della connessione tra la respirazione e il senso di calma.

Il gruppo cellulare in questione appartiene al complesso pre-Bötzinger, un’area di neuroni situata in profondità all’interno del tronco encefalico, conosciuti per innescarsi ogni volta che inspiriamo od espiriamo, come un pacemaker respiratorio.

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La Ricerca

Durante la ricerca, gli scienziati, hanno trovato nel complesso pre-Bötzinger un gruppo separato di neuroni con una funzione più “zen”, che sembrano regolare gli stati di calma e di eccitazione in risposta al nostro respiro.

Per capire questo meccanismo, la squadra ha identificato due marcatori genetici chiamati Cdh9 e Dbx1, attivi nel complesso pre-Bötzinger, che sembravano esser legati al respiro.
Hanno quindi geneticamente eliminato il gruppo di neuroni legato a questi due geni – estraendo una sottopopolazione di circa 175 neuroni dal tronco encefalico del cervello dei topi.

Dopo pochi giorni, il team si accorse che i topi senza i neuroni Cdh9 e Dbx1 erano estremamente calmi a confronto con i loro pari. Hanno ancora mostrato un’ampia varietà di respirazioni, ma avevano tutte un ritmo molto più lento.

“Se li metti in un ambiente insolito, che normalmente stimola molto l’olfatto e l’esplorazione”, ha detto Kevin Yackle, ricercatore del team dell’Università della California, San Francisco, “starebbero solo seduti a controllarsi e prendersi cura di se”. Per i topi, questo è ritenuto come prova di uno stato d’animo zen.

Dopo ulteriori indagini, la squadra ha trovato prove che indicavano che i neuroni stavano formando connessioni con il locus coeruleus, una regione del tronco encefalico coinvolta nella regolazione dell’eccitazione ed dell’emozione, responsabile, ad esempio, di svegliarci la notte e di provocare ansia e angoscia.

Il team concluse che, invece di avere una funzione regolatrice del respiro, questo piccolo gruppo di neuroni reagiva alla respirazione riportando gli stimoli al locus coeruleus, in modo tale da regolare in risposta il nostro stato d’animo.

“Questi 175 neuroni, che dicono al resto del cervello cosa sta succedendo, sono assolutamente fondamentali” ha detto Krasnow, ricercatore presso la from Stanford University School of Medicine.

Il futuro per la ricerca

La ricerca rappresenta un promettente passo in avanti, ma dobbiamo tenere a mente che c’è ancora molto da imparare riguardo al lavoro del complesso pre-Bötzinger, specialmente sugli umani.

Comunque, la nuova ricerca ha messo in rilievo la possibilità che ogni pratica, dallo yoga pranayama, a tutti i tipi di meditazione – che manipola attivamente la respirazione, potrebbe utilizzare questo percorso per regolare alcuni aspetti dell’eccitazione e dell’emozione,” dice allo Scientific American il neurobiologo Antoine Lutz dal French National Institute of Health e Medical Research, non coinvolto nella ricerca.

Mentre altri team dovranno ora proseguire ulteriormente questa ricerca nei topi e successivamente nell’uomo, Krasnow e la sua squadra stanno continuando a comprendere meglio quali altri segreti potrebbero nascondersi nel complesso pre-Bötzinger.

Il complesso pre-Bötzinger sembra ora avere un ruolo chiave negli effetti della respirazione sull’eccitazione e sull’emozione, che avviene durante la meditazione,” dice Jack L. Feldman, ricercatore del team di Krasnow.

“Ci auguriamo che la comprensione della funzione di questa regione del cervello possa portare a migliorare le terapie per lo stress, la depressione e altre emozioni negative”.

 

Fonte:
http://science.sciencemag.org/content/355/6332/1411

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